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Il Veltro Dantesco come comunione di profeti

Il Veltro Dantesco come comunione di profeti

La Relazione è stata svolta a conclusione dell’incontro sulla Teologia e Spiritualità dell’Io_Sono tenutosi a Villa San Biagio a Fano il 17 settembre 2022 con il prof. Francesco Bindella, la domenicana suor Gabriella e il diacono Enrico Ottaviani di Palestrina.

Clicca QUI della Playlist Completa dell’Incontro di Fano del 17 9 2022 a seguire

Filmato e Testo della relazione sull’Ardente Fuoco del Roveto Ardente,

l’Alone, l’Io Sono e Il Veltro alla luce della presentazione dantesca della figura profetica di Gioacchino da Fiore…

 

Inizio la mia riflessione introduttiva all’approfondimento della teologia e della spiritualità dell’ IO_SONO,

occupandomi più del secondo aspetto, la spiritualità, e lasciando il primo, la teologia, a Francesco

che il teologo lo fa di mestiere, parlando di due dettagli che avete visto nella locandina,

nata da un botta e risposta tra Francesco Bindella e me.

In essa vi sono, Due dettagli, che forse sono passati inosservati ma che sono di grande importanza.

Il termine VELTRO, che Francesco Bindella ha voluto associare a quello di Fano, per ragioni che io posso intuire ma che al momento ignoro, e una frase proveniente dalla spiritualità di una carismatica nostra contemporanea, che diverse volte è venuta qui a Villa San Biagio, Franca Cornado, frase che io ho posto dentro l’immagine della locandina del Roveto Ardente di Sébastien Bourdon: IO SONO L’ARDENTE FUOCO!

IO SONO L’ARDENTE FUOCO

Realtà questa che ci immerge in un alone, in una nube, in altre parole in un Mistero e viceversa il mistero dell’Alone, della nube che ci avvolge è causato dal fatto che Lui è … “IOSONO l’ardente Fuoco”.

Questo essere avvolti dal mistero, mistero d’amore era forse il destino dell’uomo e della donna, già della prima coppia messa alla prova dal serpente nell’Eden, e infatti il significato del termine Mistero si può spiegare con il seguente acrostico tipico della spiritualità poetica di Franca Cornado:

M istico – I mprovviso – S ponsale – T utto – E terno – R egnante – O vunque = MISTERO.

Mistero che bisogna imparare ad accettare e credere nonostante il mistero è sperare contro ogni speranza.

Con alcuni di voi è la prima volta che ci vediamo ma se avessimo avuto più confidenza durante la lettura del ‘protovangelo’ del roveto ardente, mi sarei tolto le scarpe e le calze, invitandovi a fare altrettanto, perché parlando del Roveto, dell’Io Sono, dell’ardente fuoco, siamo entrati nel mistero, siamo come Mose in un luogo sacro, alla presenza del Dio del Roveto, svisceriamo, lo faremo con Francesco, la più antica sacra, unica, densa significativa, definizione di Dio, che mi piace dire in Latino perché più assonante con l’originale ebraico: SUM QUI SUM.

SUM QUI SUM

Sono Chi Sono, Io_Sono Colui_che Io_Sono, che Francesco nei suoi studi ci ha insegnato essere una definizione trinitaria, dove il primo e l’ultimo termine sono uno eco dell’altro, il Suono dell’Io Sono, uno immagine speculare dell’altro, tramite il termine mediano, che è una sorta di cassa di risonanza o di specchio per il primo Io Sono che genera il secondo Io Sono come il Padre Celeste genera il Figlio Sapienza increata. Gesù nei vangeli, specie nel quarto ma non solo nel quarto, userà il termine IO SONO, ma giammai il nome completo SUM QUI SUM. Solo una terza parte SUM, IO SONO…

e ogni volta che lo farà verrà preso per bestemmiatore perché solo chi ha la natura divina può dire IO SONO nel senso del nome di Dio nel Roveto, quindi solo il figlio dell’uomo, Gesù di Nazareth, figlio di David vero Dio e vero Uomo, lo può usare.

Lui è il Verbo Eterno Dio che per darci ciò che non avevamo l’adozione a figli, la natura divina per adozione, si è preso ciò che non aveva, la natura umana e ci darà un nome nuovo, scritto in un coccio bianco, un nome che in qualche modo conterrà  l’Io Sono, perché quello è il nostro destino finale.

GIOVACCHINO DA FIORE.

Veniamo all’altro dettaglio, il Veltro, questo ci porta inevitabilmente a Dante, di cui sono un appassionato lettore, e a un monaco Gioachino (Giovacchino) da Fiore, un monaco calabrese nato a Celico in provincia di Cosenza nel 1130 che è posto da Dante nella seconda corona degli spiriti sapienti, nel cielo del Sole: Pd XII 140 lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato.

Monaco a cui ha dedicato molto tempo uno dei più grandi teologi della nostra epoca Henri-Marie de Lubac morto a Parigi nel 1991. Suoi due volumi dal titolo: La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore.

Soli i titoli delle sue principali opere di Gioacchino da Fiore, ci fanno capire come Dante avesse ragione sulla profeticità di Gioacchino (Concordia novi et veteris Testamenti; Expositio in Apocalypsim; Psalterium decem chordarum; Tractatus super quatuor Evangelia, Liber Figurarum).

Profeta non è chi predice il futuro, ma chi annunzia la Parola che il Signore talvolta depone nel cuore dei suoi confidenti e proclamandola, quasi involontariamente.

Il profeta parla del futuro, ma un futuro a lui ignoto nelle coordinate temporali che non sono mai fisse perché dipendono molto dalla corrispondenza dell’uomo alle ispirazione dello spirito di Dio.

Era dello Spirito Santo

Dante lo cita perché Gioacchino profetizza della speranza di un’era nuova, un tempo, un kairos che verrà e che nel caso suo lo tirerà fuori da quella vita che sta vivendo da esule, costretto a mendicare un pane e un tetto per i suoi figli di qua e di là perché cacciato con ignominia da quella sua patria Firenze che aveva servito con tanto zelo.

Dante vedeva negli ordini mendicanti osservanti, quella continuazione profetica e la sua critica ad Arnaldo da Casale (Pd XII 124) come rileva il Papini, non era una critica al suo essere troppo osservante ma all’avere abbandonato la causa carismatica degli zelanti osservanti, abbandonando il mondo francescano per tornare a quello benedettino, e pertanto assimilabile a Matteo D’Acquasparta che è preso a modello dei ‘rilassati’.

Volendo sintetizzare la questione di questo Kairos possiamo parlare di tre tempi:

“Epoca del Padre – Epoca del Figlio – Epoca dello Spirito Santo – = Un Tempo = Due Tempi = Tre Tempi. “ Essi corrispondono alla Torah ovvero alla Legge, all’ INCONTRO con il Messiah ‘Sono Io che ti parlo dice Gesù alla Samaritana’- e all’ASCESA per l’umanità, il sollevamento…

Nell’Epoca del Padre ci è stata insegnato con la Legge la VIA. Nell’Epoca del Figlio ci è stato insegnato con l’Eucarestia l’amore (l’Incontro). Nell’Epoca dello Spirito Santo ci sarà insegnato con l’’IO SONO’ l’ASCENSIONE. Il Sollevamento.

Natan

Leggiamo i versi danteschi (136-141) che lo riguardano,  per passare poi all’ultima questione quella del Veltro.

Natàn profeta e ’l metropolitano

Crisostomo e Anselmo e quel Donato

ch’a la prim’ arte degnò porre mano.

Rabano è qui, e lucemi dallato

il calavrese abate Giovacchino

di spirito profetico dotato.

Solo un cenno su Natan, che compare anche nel primo verso del salmo 51(50) il Miserere che è il Salmo di David,

nell’andare a lui Natan, quando lui andò verso Bestabea.

Come recita il primo e il secondo versetto del salmo, quelli che non si legge mai perché si parte sempre dal terzo versetto ‘Pieta di me o Dio nel tuo amore’ e che nascondono un movimento di amore sponsale, simile a quello del Verbo Dio del prologo Giovanneo che va verso Dio Padre , per cui impetrare Misericordia, come spiega bene la preghiera litanica che ho imparato da Franca Cornado:

Per il tuo movimento di amore Misericordia o mio Signore.

IL VELTRO

Alla luce di questo personaggio, Giovacchino, leggiamo la profezia del Veltro che è l’incipit ermeneutico di tutta la Divina Commedia.

Non è un caso che Dante lo metta già nel primo canto in questi pochi ma densi versetti che vi leggo subito promettendovi solo qualche cenno esplicativo, dati i tempi limitati a cui una relazione introduttiva deve attenersi.

Dante incontra con Virgilio, senza sapere ancora chi fosse (Inf I,64-66):

Quando vidi costui nel gran diserto,
“Miserere di me”, gridai a lui,
“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”.

Come vedete compare il Miserere, corroborato da tutta la Sponsalità che traspare in tutta la divina commedia, già da questo primo cantico,

scopriremo nel XXX canto del purgatorio che è Beatrice che lo fa finire nella selva oscura,

dopo essergli invano apparsa nei sogni, per far compiere a lui,

dopo una visita per le oscurità ipoctoniche degli inferi,

la strada per il monte degli aromi dello sposalizio mistico che lo condurrà tra il Sole e le stelle mosse dall’amore di Dio.

Ed ecco finalmente la profezia del Veltro (Inf I,100-111)

Virgilio sta annunciando a Dante il viaggio che dovrà fare una bestia vuole impedirgli di fare una lupa…

Molti son li animali a cui s’ammoglia,
e più saranno ancora, infin che ’l veltro
verrà, che la farà morir con doglia.

Questi non ciberà terra né peltro,
ma sapïenza, amore e virtute,
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Di quella umile Italia fia salute
per cui morì la vergine Cammilla,
Eurialo e Turno e Niso di ferute.

Questi la caccerà per ogne villa,
fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno,
là onde ’nvidia prima dipartilla.

La mia intepretazione

Lascio ai dantisti l’elenco di tutte le interpretazioni possibili di questo Veltro, un imperatore,

un personaggio politico o religioso, lo Spirito Santo stesso come autorevolmente ha argomentato il Papini,

e così pure le varie interpretazioni del Feltro,

anche geografiche nella quale in qualche modo si può tirare in ballo anche il Montefeltro e Fano per limitarmi ad enunciare la mia.

Incomincio dal ‘feltro’, che non ritengo essere una indicazione geografica, ma che Dante faccia riferimento alla veste povera dei frati mendicanti, fatta dal feltro, un materiale povero magari ricavato dai ciuffi di lana delle pecore che si impigliano tra i cespugli.

Il Veltro come sappiamo è un cane, che i domeni’cani’ hanno assunto come simbolo del loro apostolato, fatto da annuncio di verità, come possiamo vedere nell’affresco 1365-68 di  Andrea di Bonaiuto “Esaltazione dell’ordine domenicano” (La Chiesa militante e trionfante), che si trova nel Cappellone degli Spagnoli a Firenze.

Il veltro dantesco come comunione di profeti
Andrea di Bonaiuto, Esaltazione dell’ordine domenicano (La Chiesa militante e trionfante),1365-68 affresco, Cappellone degli Spagnoli, Firenze

Il Veltro come comunità carismatica in cammino

Il Veltro ritengo sia per Dante, una comunità che ha origine in Italia,

una sorta di  chiesa carismatica o pneumatica, sottomessa alla chiesa gerarchica

(vedi le tre approvazioni che Francesco ebbe alla sua opera e che Dante descrive nell’XI capitolo del paradiso).

Una comunità che in qualche modo Dante vede rappresentata negli ordini mendicanti di Domenico e di Francesco (che vestono abiti fatti di feltro) in particolare negli zelanti osservanti come il Beato Giovanni da Parma che pur Dante non cita.

Questi sarebbero quel nuovo ordine monastico che Giovacchino da Fiore ha profetizzato per la sua era dello Spirito Santo. Una comunità che oggi potremmo chiamare la ‘Comunità dell’IO_SONO’ ritenendo Dante stesso un profeta,

profeta dell’amore sponsale e dell’Era nuova dello Spirito Santo.

Grazie per l’attenzione.

Claudio Pace Fano 17 settembre 2022 per l’


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