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MITE COLLOQUIUM di Guglielmo di Saint Thierry motivo ispiratore di una mostra ad Assisi per il cortile di Francesco

MITE COLLOQUIUM di Guglielmo di Saint Thierry motivo ispiratore di una mostra ad Assisi per il cortile di Francesco

MITE COLLOQUIUM

Ricevo e volentieri pubblico nel blog l’invito ad una mostra organizzata come evento collaterale all’edizione 2017 de “Il Cortile di Francesco.

La mostra sarà ospitata al primo piano di Palazzo Bartocci Fontana, storico palazzo cinquecentesco della centralissima via San Francesco.

Le sale sono quelle del piano nobile del palazzo dove alle pareti vengono conservate sei grandi tele del settecento che portano la firma di Antonio Nelsi e raffigurano scene mitologiche e scene religiose.

Memorandum

Dal 14 al 17 settembre 2017

Palazzo Bartocci Fontana – Piano Nobile

Via San Francesco n.8 – Assisi

Inaugurazione giovedì 14 settembre ore 12.00

Orari mostra: 11.00/13.00 – 15.30/19.00

Ingresso libero

Info: 3332946260

Testo Critico a cura di Giuseppe Rago

Guglielmo di Saint Thierry nel suo De natura et dignitate amoris postula il mite colloquium,

altrove tradotto come “colloquio discreto”,

tra gli amanti come prezioso per conoscere ciò che è necessario all’anima e al corpo di coloro che nutrono l’amore;

e nel suo commento al Cantico dei Cantici lo stesso autore ritorna sul colloquio tra lo Sposo e la Sposa,

cui noi stessi siamo chiamati a partecipare:

“infatti quando si parla di sentimenti solo chi prova dei sentimenti  analoghi può capire facilmente quello che viene detto”.

Più da presso, e laicamente, Norberto Bobbio, nel suo Elogio della mitezza, indica in quest’ultima la più impolitica delle virtù,

ma pure la più civile in senso ampio e alto, unico argine possibile alle degenerazioni della politica;

il mite non è remissivo, ma è colui che sceglie di essere eticamente diverso:

è il suo saper dire di no con fermezza che segna il passaggio dalla mansuetudine come inclinazione alla mitezza come virtù.

[…]

Per il testo completo vedi il file

Claudio Pace Terni 07 Settembre 2017 su MITE COLLOQUIUM

Nessun Dorma Turandot e la teologia nominale

Nessun Dorma Turandot e la teologia nominale

Nessun Dorma

La Notte simbolo della Pasqua

Uno dei brani più famosi dell’Opera Italiana, il Nessun Dorma della Turandot di Giacomo Puccini,

è l’aria che il principe ignoto canta nella notte in cui si deciderà del suo destino,

mentre è partito, nella notte quasi ‘pasquale’ di Pekino, l’ordine crudele della gelida e crudele della principessa Turandot: 

“Nessun dorma questa notte in Pekino!”.

Notte quasi pasquale perché ricorda la Notte di Pasqua in cui la Chiesa Cattolica prega così

Fratelli, in questa santissima notte, nella quale Gesù Cristo nostro Signore passò dalla morte alla vita,

la Chiesa, diffusa su tutta la terra, chiama i suoi figli a vegliare in preghiera. 

Rivivremo la Pasqua del Signore nell’ascolto della Parola e nella partecipazione ai Sacramenti,

Cristo risorto confermerà in noi la speranza di partecipare alla sua vittoria sulla morte

e di vivere con lui in Dio Padre.nella liturgia della Luce. 

La Veglia

Tutto un altro contesto, è vero, ma il vegliate che è il modo evangelico di dire “Nessun Dorma” è tipico della predicazione,

forse anche sua storica  (Verba ipsissima), di Gesù e certamente della chiesa primitiva,

abituata fin dagli inizi a pregare senza dormire la notte come attesta un miracolo assai significativo di Paolo

che resuscita il giovane Eutico addormentatosi mentre (At 20,7ss)

la Chiesa dopo essersi riunita nello Spezzare del Pane si era trattenuta con Paolo fino a Mezzanotte.

Nessun dorma è dunque anche nel vegliate che Gesù chiede ad una triade dei suoi discepoli (Pietro e i Figli del Tuono) prima della sua passione

L’invito a vegliare

(Mt 26,38-43)

[Mt26,36] Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: “Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare”.  

[37] E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia.

[38] Disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”.  

[39] E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!”.  

[40] Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: “Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?

[41] Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole”.

[42] E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: “Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”.

[43] [E] tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.

[44] E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole.

Gestemani

Insomma Gesù nel Gestemani assomiglia un po’ al Calaf che ripete come un eco il Nessun Dorma che riecheggia nella spaventata Pechino,

ma in questo Nessun Dorma in bocca a Gesù si può vedere lo stesso nella notte Pasquale

che invita a rimanere svegli i Cristiani per incontrare il Risorto o comunque sentire e diffondere l’annuncio del risorto.

In questa chiave pasquale, la fine dell’aria del Nessun Dorma sembra il canto del Gesù Risorto che vince all’Alba

e che da compimento alla speranza della sua Madre che nella fredda stanza,

nell’attesa della sua resurrezione, guarda le stelle che tremano di amore appunto e di speranza.

Lei così certa della sua resurrezione che non va a cercarlo appunto nella tomba vuota,

che pure contiene l’eco del Nome del Risorto, ma l’attende e secondo una tradizione,

non supportata dai testi sacri, per prima incontra il Risorto da cui riceve consolazione.

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